S C R I T T I A T L A N T I C I

18 gennaio 2017

Seconda parte

Rimonta il circostante
adattamento dell'estro definito.
Ritorna indimostrato
l'anestetico filtrarsi.

31 luglio 2013

Villa Borghese

Senti nel verde soltanto
l'odore di petrolio bruciato

28 febbraio 2013

A

Trascorro scolorito
dentro i giorni
senza scopo
se non nella parola.
E dentro analogie
semantizzate
scannerizzo il
mio parlare,
o lo scansiono,
ritrovando come
bit binumerale le parole:
tutte quante.

29 gennaio 2013

TEMPO E MODO






Brucia stasera il girare dei mesi al Quadraro.
Gira sul tetto bagnato di muffa e di pioggia,
cancella la voce del bimbo vicino che chiama
la mamma, la nonna il papà e gli chiede “Ndo’ stai?” da tre ore.
Resetta il rumore dei Boeing della Ryan che vanno a Ciampino,
chissà chi ritorna mi chiedo stavolta,
in genere guardo stravolto e mi chiedo “chi va”,
mi chiedo chi torna stavolta!

Mi brucia il mio tempo sull’unghia,
mi scotta le dita il contare costante
dei vuoti ipertesi a distanza.
Mi brucia il contare
E mi urge contarmi il mio tempo stasera,
dispormi incasellato per restarmene disperso,
quasi amorfo nel contare che mi sfuma.
[per tentare di rollare due parole
mi traccheggio con l’aereo,
 tremando col soffitto insieme a lui].


“Chi sarà?”, mi sto chiedendo,  “chi ritorna?”,
“Che sarò?”  Questo, sono certo, per adesso non lo so.
ma lo so che non ritorna, è questo il modo,
non ritorna e resta fermo
per lasciarsi blandamente sorpassare.

25 ottobre 2012

MI CERCO






Mi cerco in quest’ora di ottobre
che in pixel sgranati mi sfalda il mio giorno.
Mi cerco qua, tra Quadraro e Porta Furba,
nei fossi, nelle crepe della strada,
tra i muri abbrutiti dei palazzi al Quadraretto,
nel rumore di voci di strada,
nel guardare le ambulanze tagliare i semafori
e fuggire davanti rettilinee.

E mi parlo.
Nel basso continuo di fondo di Via dei Quintili,
portandomi a tempo il mio Tempo,
e se pure qui mi parlo
in assorto monologo a solo,
disilluso non mi ascolto.
Resto chiuso nella metro verso casa
con un gomito nel fianco,
col parquet da ripulire,
con la spesa da rifare;
resto chiuso con il grumo di parole
reingoiate nei polmoni,
frantumato,
senza più capirmi l’uso.

20 agosto 2012

20 agosto 2012

Sarà il sole
poco a picco su Pescara
di questo pomeriggio esterno
a schiuderci la strada.
Sarà l'afa dissolvente d'agosto
a connetterci, d'istante.
E ti guarderò, lo so,
ti guarderò negli occhi nel minuto
di silenzio emozionato
che non so se, risoluto,
riuscirò a tenere muto.

Sono vivo, lo ricordo
per averlo scritto altrove.
Sarò vivo perché ci sarai,
perché tu, vivendo, me lo ricorderai.

16 luglio 2012

INSULSE PAROLE BANALI




Nelle metro e nel traffico denso di Roma.
Nell’assurda confettura di volumi inertizzanti,
nel silenzio senza senso che alle porte dell’alba
questo grumo di palazzi ti rovescia dritto addosso.
T’amo nell’attesa, nell’insulso non sapere che pensare,
nel parlare che corrobora l’agire, nel tornare,
nel pigiare sui pulsanti d’un telefono non smart
ma più stupido che altro nel  volerlo definire in qualità.

Ti amo camminando nel caldo,
sperando nel freddo,
nelle file per la spesa, nel guardarti le vetrine
nel cercare vagabondi in mezzo a libri
qualche cosa che risolva,
nel cercarti, nel metterti a parte di tutto
e in disparte dal niente.
Ti amo scrivendo, pensando, mirando ai miei soliti nulla irrisolti,
stappando una birra scialbita,
dormendo a piedi nudi sul divano.

Ti amo in silenzio talvolta,
preferendo sempre scrivere al parlare,
e pure se del dire è meglio il fare
dirlo, questa volta, è un esercizio senza dubbio non banale.
T’amo nel silenzio d’un caffè,
nel guardarsi dritto in faccia,
ti amo nell’andare polveroso per le strade della storia,
ti amo per un niente che non so più dimostrare,
che non serve dimostrare perché forse in fondo è vita.
T’amo sentendo cantare concerti,
nel giro concupito del basso più profondo;
t’amo nelle ore contrarie, nelle ore puntuali
che sembra nemmeno trascorrano.
Nel trapasso del giorno eventuale.
Nell’amore testuale.

T’amo basito, dimesso, distolto nel vento più insulso, pure lui,
disperso in cenere severa,
tagliato dentro tutti quanti i giorni che continuo a non sapere.
T’amo incupito.
Nel battere il tempo che passa,
aspettando Child In Time,
sentendomi andare, nel dovermi riaffermare.
T’amo nel capire se vivo, se mi sciolgo, se resisto.

Ti amo sapendo che pure una TIA mi dissolve,
che certo perderò correndo gli anni
pure il dono del parlare o del pensare.
T’amo amandoti, non sapendo se l’amarti
sia condito solamente di pensiero o carne pura solamente,
e lo so che mi ripeto ma l’avverbio serve il senso che qui, scisso,
non ha senso.

Ti amo macinato, deprivato, ricongiunto, contrariato.
T’amo correndo, scrivendo.
T’amo tacendo.

Pure adesso.

11 luglio 2012

Punto


C’è talvolta qualche parola
che sfugge tra i denti, tradente,
che senza invenzione ricopre
l’aria intorno di niente costanti.
C’è talvolta un silenzio che, peggio,
diniega di vero ogni vuoto sperato.
C’è pure talvolta un silenzio senziente
maturo di senso, valente, compreso,
portante un assenso.
C’è sempre purtroppo il grafema,
il dilemma di un lemma,
che scritto, parlato, filtrato a ridetto da voci
non prende nemmeno il suo senso,
perché questa volta
comprendi il semantema
come intendilo ascoltare,
mi si passi libertà grammaticale,
oppure perché detto intende altro,
mi si  ripassi pure la suddetta libertà.

E pure un punto, qualche volta,
sempre inteso come chiusa, fine,
stop, declinazione,
diga immonda al divenire,
proprio lì quel punto scritto
apre il senso a quel che viene,
(senza fine, solo inizio)
 nuovo spazio al divenire al punto,
e un punto come ho detto,
un punto, è quello, quello lì,
e l’altro è questo [punto]. Come quello

08 luglio 2012

Roma di Luglio - 1




Di notte mi sciolgo nell’aria di Roma,
mi liquefo, liquido, in pelle e sudore e penetro a terra,
mi esalo, trasmigro.
Galleggio fottuto nell’aria leggera da geyser,
vulcano, fall out post-atomico.
E niente si cambia.
Di notte ogni volta io tremo con Roma
sperando al mattino di almeno rinascere, vivo,
al cupo tremare di traffico e folla.
E diventa paradosso quindi adesso
 morire di notte e sentirsi rinati
 nei tubi di latta da sardine della metro,
cantina acclimatata, sottoterra,
da dove la città ci conserva,
ci stagiona, ci comprime,
come file di carnaggi da insaccare.

04 luglio 2012

Shut Up - THE THIRD ONE!!





Shut up Rome, Tuscolana, neighbors, airplanes, time, brain, finger, feet, keyboard, Higgs, stomach, bottles, yesterday, tomorrow, libanese. Shut up duties, fees, freedom, night, dawn. Shut up "ma vaffanculo", beer, wine, chopped meat and meet, being alone in these rooms in Rome. Shut up "I saw the best minds of my generation destroyed by madness, starving hysterical naked". Shut up those who know nothing, everything, dreaming. Shut up you! You breathing, panting, walking in Rome. Shut up pizza-vino e mandolino; shut up Aristotle, Socrates, Popper, Adrian [him] & Adriano [me]; shut up running divinely away, lazying, freezing, hotting, listening to yourselves; shut up night buses, tyres, asphalt, concrete, hot windows, ambulances, motorbikes, babies, spoons, dishes, forks, tomatoes, paper books, book paper. Shut up printers, calendars, city lights, life, lives, wives, bitches and beaches. Shut up this rumbling city, this alone-making city, this a-soul city, this historical-hysterical-bipolar- olanzapine eating city, this stupid earth, terrestrial hell, which is  always preferred for its company and not for the climate. Shut up Monti, sea, Obama, dead Osama, Indo -Gange -Brahma. Shut up Tevere, Trastevere, seven hills, Saint Peter's church, the wolf, Roman Forum and Roma Foro. Shut up world. Shut up thee, and always, stupid, shut up me.

GREGOR


La luce scivola nascostamente sul pavimento
Scavando le assi del parquet
Di solchi di vita inuguali.

E acaride, m’illumino nel deserto di legno,
tra monti di polvere,
tra i solchi di vita inuguale.